Antonello Diodato Guardigli (in arte ADGART) alla Biennale di Venezia con la sua poetica. Lo fa nel Padiglione del Grenada con l’installazio-ne site-specific dal titolo “Oltre”: detriti e macerie, in cui la centralità della “relazione” sarà presupposto fondamentale per una crescita in-dividuale e collettiva.
Un’opera di forte impatto visivo del tutto con-temporanea nell’attualità in cui ci si ritrova come in un caos che però è solo apparente giacché ogni singola pietra, ogni singolo oggetto, rimanda a luoghi e tragedie che sono la “narrazione del nostro tem-po”, sottolinea l’artista, “dove ognuno di noi è coinvolto”, dove ancora risuona un rumore assordante.
Si dà per normale una anormalità, ed è questa la deriva, giacché a lungo andare si darà sempre più una visione che è catastrofe, una sciagura per l’umanità perché se ne perde il senso e le ragioni se sono molti i conflitti nel mondo in cui chi perde la vita sono per lo più civili, vittime sacrificali di guerre fra potenti. E per questo bisogna essere pronti a contrastare l’indifferenza e dobbiamo essere pronti ad anda-re oltre al cumulo di macerie che Diodato Guardigli ci propone. Per-ché quel pieno in una piramide di detriti faccia percepire un dramma e il vuoto che fa brillare il mistero dell’arte nei nostri occhi e che av-volge la nostra anima, che ci trasforma in una complementarietà che forma una negazione di un momento difficile sociale ed economico, e portare speranza in un contributo che favorisca il superamento di una crisi pandemica.
No man is an island. “Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto (...). La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. Sono i versi del poeta John Donne che leggiamo nel comunicato stam-pa della Biennale di Venezia, e sintetizzano un’umanità legata da una trama di racconti, a tal punto che la morte diventa lutto collettivo, comunitario.
La contemporaneità, purtroppo, dà un tributo alla massa in una pratica che pone le questioni morali in un valore irrilevante, incapace di un profilo culturale che sia denuncia e l’artista non è più influenzato né suggestionato dal proprio contesto. Non così per ADGART che in-vece sfida il mondo reale in questa opera e in tutta la sua produzione, in una indagine circa il destino dell’individuo e del genere umano re-lativamente ad aspettative sul destino del creato, in uno spazio tempo lirico e ispirato, per una corrispondenza in continua trasformazione volta alla conoscenza. Lo stile, dunque, che il nostro artista articola nell’occorrenza di comunicare attraverso sensibilità per la convivenza civile, tanto che esprime un contesto artistico sul modello del porsi accanto.
Le sue opere sono poesia che sperimenta la vita e aiuta a vivere, o meglio a capire, per un contributo “oltre” un materialismo ontologi-camente inessenziale, per scoprire cosa c’è in un metafisico sguardo che lo spettatore pone a prescindere dagli oggetti che vediamo, in una raffigurazione d’insieme come a scorrere le pagine di un libro nella narrazione commovente di un pupazzo, un giocattolo, una cio-tola rotta … nell’attimo che sconvolge, sui drammi causati da un “pen-siero del sistema”, monolitico nelle sue certezze.
Così la quarantennale arte di Antonello Diodato Guardigli - con mol-te mostre e con il successo di pubblico e critica riscontrati - prende congedo dalla società che tutti vedono e in cui vivono, e s’immerge nell’arte in cui elimina la figura, nell’astrazione di rappresentazioni come esplorazione di un’arte espressiva, in un richiamo di renitenza al nichilismo che conduce alla dissennatezza e come meta il piacere dell’isolamento tra farneticazioni surrettizie e fintamente liberatorie. Ed ecco quindi il suo impegno nell’arte non soltanto come pittore ma in importanti cariche tra cui: direttore della delegazione lombar-da dell’Unione Europea Esperti d’Arte, vice direttore del Consiglio di gestione della Pinacoteca don G. Bellini di Sarnico (Bergamo), e la sua partecipazione a Milano all’Expo Contemporary Art nel 2015.
E ancora, nel corso della sua carriera ha partecipato a manifestazioni e pubblicazioni su varie riviste di settore ottenendo consensi, e pro-tagonista nelle più importanti fiere d’arte contemporanea nazionali, internazionali e mondiali.
A tutto guarda per acquisirne la prassi o sentirsene influenzato nella misura in cui è giusto per l’artista mantenere un ordine personale ravvisabile nel mantenere la prevalenza dell’uso della pittura che, se mai, è riconducibile all’informale europeo. Temi che sempre più ser-rano l’arte del nostro autore, in uno spettro operativo ermeneutico che fonde in simultaneità artistiche e successioni varie, e ne compatta la funzione mnemonica, così da farsi vedere determinato nel ricon-siderare il “nuovo” sulla scorta del “preesistente” come testimonianza dell’esplorare per cambiare.
Per questo in “Oltre” c’è il crollo dell’illusione, c’è la storia che è me-moria e coscienza, e l’uomo nell’impotenza al cambiamento, restando in quanto Nietzsche definiva come volontà di potenza. Ed ecco la ri-bellione del nostro artista, trasmettendo attraverso la materia la sua energia contro l’incapacità di superare l’apparente. Fino a far emer-gere nei suoi lavori i suoi frammenti messi insieme da tracce, segni, colore e pigmenti in contrasto, oltre l’oblio dell’essere, nel creare un approdo in un nuovo mondo, con un suo personale linguaggio, come per la scrittura degli Egizi nell’esprimere concetti non mediante silla-be ma mediante il significato degli oggetti, trasferendo il significante nel significato di un’arte oggettivata, per una comunità che implichi un “darsi insieme”. In un allegorismo pratico e pragmatico per Dioda-to Guardigli che gli viene dalla mamma romagnola e in una fantasia ereditata dal papà campano, e dal suo continuo viaggiare per vivere “stratificazioni di culture, coabitazioni di tempi, ferite, testimonianze di un presente che abbraccia la storia confondendosi con altre lingue, altre leggi, altri domini”.
Sono le sue finestre alla ricerca di una soluzione culturale con uno sguardo non provocatorio, per rivendicare l’eredità e l’esigenza dell’uomo incoerente che non riesce a esaurire problematiche, e fa risaltare la finitezza dell’immagine in una pittura che potremmo de-finire corporea. E a volte abbonda per quegli interventi successivi a coprire di fatto la visibilità del raffigurato in una densità materica che assumono policromie pluriculturali o transculturali, osservando il riconoscimento di principi universali, nel rinnovo di un melting pot oggi attuale per un’identità condivisa.
In linea con il tema dato dal curatore, Adriano Pedrosa, per l’edizio-ne 2024 della Biennale di Venezia: “Stranieri ovunque”, il cui titolo, spiega, ha duplice senso: “Innanzitutto vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri”, ma l’estraneità di ognuno diviene comunità proiettandosi nel sistema complesso relazionale che troviamo in tutta l’arte di Antonello Dioda-to Guardigli. Per un porto sicuro, un riparo dove rifugiarsi, distaccati dal ritmo di chi naviga verso l’ignoto, e allora ci consegna un messag-gio: creiamo l’autentico certo a sé stesso, abbandoniamo diatribe ideo-logiche e metodologiche e stabiliamo una propedeutica per la cultura universale in una convivenza civile sussidiaria.
Andrea Barretta - Critico d’arte
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